Avete studiato Carlo Porta a scuola? In un sondaggio informale fatto da me, i risultati sono negativi: molti nemmeno l’hanno sentito, alcuni l’hanno accennato, pochi l’hanno studiato approfonditamente e ancora meno hanno letto le sue poesie.
Perché? È stato pur sempre il poeta più importante nella seconda lingua d’Italia per letteratura, non il primo dei pirla.
Penso che le ragioni siano principalmente tre:
Prima di tutto, il Porta non scriveva in italiano (principalmente), mentre a scuola si studia letteratura italiana. Se è vero che spesso si gioca sull’equivoco lingua/territorio, ad esempio analizzando la scuola siciliana e Bonvesin de la Riva come parte della lingua italiana, quando non lo erano, è anche vero che il milanese del Porta non è italiano nemmeno dopo la dodicesima birra, mentre il volgare bonvesiniano era ancora confuso.
Secondo punto, il Porta era anche volgare. Non un poeta maledetto alla Fabio Varese o alla Cecco Angiolieri, ma quando voleva tirava fuori certe cose… interessanti. Immaginate leggere in una classe di seconda superiore questa poesia. In quante risate finirebbe?
Poi c’è il punto 2.5: la gran parte dei docenti non è lombarda, né d’area gallo-italica, né è richiesto per la loro professione che facciano corsi di dizione gallo-italica. Esattamente come una mia lettura di questo testo risulterebbe abbastanza risibile, è molto probabile che una lettura di un docente di Palermo di questo testo finisca male.
Ma poi c’è un terzo punto non da poco: le idee politiche del Porta. Non è un mistero che, dopo che Napoleone ha essenzialmente creato la nazione moderna, il periodo tra questo avvenimento e l’unità d’Italia sia essenzialmente dedicato allo studio delle correnti letterarie che anelavano l’unità. Penso solo a Foscolo, studiato anche nei più sfigati istituti professionali, a mio parere emblema di questa tendenza.
Ma, il Porta, era molto scettico su tutto ciò: nel suo “Brindes de Meneghin a l’ostaria dice”:
Che Toccaj, che Alicant, che Sciampagn,
che pacciugh, che mes’ciozz forester!
Vin nostran, vin di noster campagn,
ma legittem, ma s’cett, ma sinzer,
per el stomegh d’on bon Milanes
ghe va robba del noster paes
Non è un mistero che alcuni ritengano il Porta uno dei primi teorici dell’indipendentismo lombardo. E sugli italiani, nella sua “A certi forestee che vivèn in Milan e che ne sparlen”, non ha molto di buono da dire:
Merda, ve torni a dì,
marcanaggi pajasc de forastee!
Andee foeura di pee,
e innanz de tornà chì
specciee deprima che vel diga mì.E chi hin sti forestee
che se la scolden tant contra Milan?
Hin Chines, hin Persian?
Sur nò: hin tutt gent chì adree,
hin d’italia anca lor… Peh! la minee!O Italia desgraziada,
cossa serv andà a toeulla cont i mort
in temp che tutt el tort
de vess inscì strasciada
l’è tutt de Tì, nemisa toa giurada!Sur sì, se te seet senza
legg e lenguacc, se tutt hin forestee
i tò usanz, i mestee,
se a dilla in confidenza
te tegnen i dandinn, l’è Providenza.E fin ch’el natural
nol te giusta on deluvi o on terremott
l’ess inscì l’è nagott,
mej i Turch coj soeu pal
che l’invidia e i descordi nazional.Ma stemm alla reson:
eel sto porch d’on paes che ve despias?
Lassell in santa pas;
andemm, spazzetta, allon!
V’emm forsi ligaa chì per i mincion?
Oh, a me sembra abbastanza incazzato. Ne aveva anche da dire sui veneti, rei di non voler dipendere da Milano, terminando la poesia con un “meglio soli che male accompagnati”.
Ora, sia chiaro, non penso che la scuola sopprima volutamente un poeta semplicemente per le sue idee politiche non unitariste. Anche perché, ricordando la tendenza al comizio di certi docenti, non penso che perderebbero l’occasione per fare un bel discorso sull’egoismo storico dei lombardi, che da sempre vogliono tenersi ciò che producono invece che condividerlo con gioia e solidarietà, che è grazie a loro materialismo capitalista che il Covid è arrivato in Italia e per il loro amore carnale per il vil denaro non abbiamo chiuso tutto e subito, causando strage, bla bla bla, magari associando il tutto con una spiegazione del perché il dialetto sia male e segno di chiusura, mentre chi parla italiano condivide amorevolmente il proprio pasto con il governo, che dopo adeguato prelievo lo userà per comperarsi il voto della Bassitalia, lasciata più o meno volutamente in miseria.
Ma, siccome le ore di scuola non sono infinite, è decisamente una parte sacrificabile della storia della letteratura nell’area geografica italiana, visto che non porta nulla di importante né alla storia della lingua italiana (al massimo, di quella lombarda), né alla visione storica della letteratura che viene comunemente seguita.
Così, molti fanno volutamente il taglio.
PS: l’è ‘l dì di mort… Alegher!
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