Non sono mai entrato in un partito politico: son stato vicino per un annetto alla Lega, nel periodo del referendum costituzionale e di quello autonomista, ma appena ho capito l’andazzo me ne sono allontanato alla svelta.
Nella mia bolla Azione ha non pochi iscritti e simpatizzanti e, alle volte, qualche “entra in Azione” esce. Chiaramente, non ho la più minima intenzione di entrare in un partito politico, ma se mai avessi avuto la malsana idea di iscrivermi ad Azione per “rimettermi in gioco” dopo l’ultima uscita di Calenda sull’istruzione tecnica e professionale avrei mollato il partito e restituito la tessera.
La ragione è semplice: non penso che sia possibile cambiare i partiti. Se va bene, son dittature in stile romano dove si vota un leader e lui decide tutto, se va male nemmeno si vota veramente il leader.
Stare in un partito vuol dire accettare di portare avanti anche idee non gradite in cambio di portare avanti quelle gradite e, magari, ottenere un posto per poterle portare avanti ad un livello più alto.
Se un’idea è troppo fuori da ciò che approvi, te ne devi andare, o inizi a diventare incoerente. Se resti e ti esprimi contro, rischi di essere escluso o comunque lasciato in basso.
Per questa ragione, se mi fossi trovato in Azione, considerando la mia posizione (che ritengo fondamentale) sull’istruzione tecnica incompatibile con quella del segretario, che probabilmente detterà la linea del partito, avrei mollato. Puoi dire quanto vuoi che il liceo è meglio e van tolti i tecnici, ma non usando me come megafono.
Dite che con questo approccio non si combina nulla e che bisogna compromettersi per ottenere qualcosa? Probabile, ma poco ci vuole a finire come i leghisti che utilizzavano la carta igienica con la mappa dell’Italia e ora cantano allegramente “Fratelli d’Italia” per poter restare nel consiglio di Zona a riparare le panchine…
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