L’Ungheria approva una legge che dice che prima di abortire bisogna far sentire alla madre il battito o comunque dare una prova di vitalità del feto, così da far capire le conseguenze dell’aborto.
E ovviamente tutte le femministe incazzate per questo attentato all’autodeterminazione della donna eccetera eccetera.
Ora, mi pare evidente, specie dopo tutto quello che abbiamo accettato durante le restrizioni Covid, che nessuna libertà nella società attuale è assoluta. Se la tua libertà crea esternalità negative lo Stato ha tutto il diritto di intervenire. Si è deciso così, no?
Un feto dipende dalla madre, e ciò distingue l’aborto dall’omicidio, ma è pur sempre una vita in potenziale. L’aborto è una libertà, ma ha l’esternalità negativa di terminare una vita che, se lasciata stare, probabilmente sarebbe tale.
Quindi, se una proibizione totale sarebbe lesiva dei diritti, non lo è obbligare ad un consulto psicologico (come accade nella civilissima Germania), a un consulto di pianificazione familiare che mostri le opzioni possibili di sostegno alla natalità o mostrare che ciò che c’è dentro è, effettivamente, una vita e non il prodotto di una sveltina.
Molto provocatoriamente, si potrebbe dire che abortire è come non fare il vaccino COVID: hai il diritto di non farlo, ma la società ha il diritto di farti pressioni in modo che tu lo faccia, o viceversa, il figlio o il vaccino.
Non è nemmeno difficile immaginare l’introduzione di un sistema sanzionatorio per chi abortisce e lavora, ad esempio, in settori a contatto coi bambini.
Resterebbero le esenzioni per patologia? Beh, della madre si, del feto dipende, c’è chi argomenta che lo stato ha un interesse nell’evitare nascite che peseranno sul welfare e c’è chi invece argomenta che è una forma di eugenetica.
Non vi piace questo ragionamento? Beh, nemmeno a me. Ma sono le regole del gioco, specie quello dell’era post Covid, dove l’individuo lascia il posto alla comunità.
E che molti di quelli che piangono oggi per l’Ungheria hanno sostenuto ampiamente.