Leggo questo articolo su Fanpage sul togliersi le scarpe prima di entrare in casa e mi dico “vabbè, è Fanpage”, il problema è quando trovo un articolo molto simile su Focus. Anzi, francamente, sembra fatto meglio quello di Fanpage.
Non starò qui a commentare riga per riga l’articolo (anche se qualche pezzo si), leggetevelo e ne parliamo insieme. Voglio fare tre macro-considerazioni.
Prima di tutto, l’idea di scienza che ha cambiato il mondo è imprecisa. Lo dico qui, anche se non direttamente correlato, perché spesso si confondono le cose: la scienza non è la nuova Bibbia, è un metodo che aiuta a capire come funzionano le cose. Ad aver migliorato le nostre condizioni di vita è stata largamente la tecnica, che è sorella sì della scienza, ma ne è distinta. D’altronde, si può argomentare che la scienza si fa da tempi immemori (pure i filosofi, quando non erano impegnati a scrivere cazzate che per qualcuno sono necessarie a capire il mondo oggi, ne facevano) ma è da relativamente poco che il mondo è cambiato davvero in meglio e per tutti, soprattutto grazie all’applicazione di varie scoperte scientifiche. Ossia, la tecnica.
Punto due, chi crede che la scienza dia brevi comandamenti da rispettare non ha capito cos’è la scienza. Essa, infatti, è un metodo ci dà dati per capire le cose e prendere decisioni. Proprio su Focus un ingegnere aerospaziale fa una cosa del genere sul tema.
La scienza richiede ragionamento autonomo partendo dai dati, tutto l’opposto del credere fideistico.
Nel caso specifico:
Il team ha individuato, su scarpe e pavimenti, patogeni resistenti agli antibiotici (inclusi lo Staphylococcus aureus e il Clostridium difficile, all’origine di molte infezioni ospedaliere),
Appunto, ospedaliere. Quante infezioni di Clostridium difficile avvengono nelle case e, soprattutto, quante sono collegabili alle scarpe? Al massimo sarebbe un motivo per togliersi le scarpe dopo essere andati in ospedale.
Per non parlare dello Staphylococcus aureus, che si trova… Sulla cute, nel 20% degli adulti.
‘Sa fem, un tampone della pelle ad ogni ospite e se è positivo resta fuori?
tossine residue dell’asfalto dalle proprietà cancerogene e distruttori endocrini
Non so voi, ma io sul pavimento non ci mangio né ci dormo. Quante di queste tossine entrerebbero nel mio corpo rispetto ad altri comportamenti? Considerando che vivo nella Pianura Padana, dove anche solo respirare è aumentare il proprio rischio di tumore.
tracce di metalli potenzialmente tossici come arsenico, cadmio e piombo, in diverse concentrazioni a seconda del luogo e associati a varie attività all’aria aperta (estrazione mineraria, fusione o combustione di metalli, gas di scarico dei veicoli, semplice presenza in suoli contaminati).
Appunto. Tracce. Se mangiate riso, ad esempio, fareste bene a preoccuparvi dell’arsenico in esso e non dell’ipotetico arsenico in tracce sul pavimento.
Nella valutazione degli inquinanti domestici il gruppo di scienziati si è anche imbattuto in sostanze radioattive di provenienza industriale, in microplastiche spesso associate a tappeti e vernici (le fibre derivate dal petrolio costituiscono il 39% delle polveri di casa) e negli PFAS, acidi perfluoroacrilici ampiamente usati in ambito industriale
E i PFAS sono un problema mica da ridere. Sapete dove si trovano, spesso?
Nell’acqua. Letteralmente, c’è gente con le fonti avvelenate e qui ci preoccupiamo delle scarpe?
Insomma, in confronto ad altre voci dell’elenco l’E. coli passa quasi per un coinquilino accettabile.
Se producesse la tossina di Shiga non penso proprio.
E così l’articolo finisce. Ci viene detto quante infezioni possono derivare dalle scarpe in casa?
Assolutamente no.
Quanto inquinamento potremmo evitare nel focolare domestico? Nulla.
La percentuale di questo inquinamento in rapporto a quello che prendiamo dall’aria, dall’acqua e dalla catena alimentare? Non sia mai!
Non ci viene nemmeno data la possibilità di fare la nostra scelta con i dati forniti nell’articolo, anche perché non sembra che ci sia nemmeno uno studio vero e proprio dietro (se non sulla parte dell’arsenico), solo l’opinione dei due scienziati. Ricordiamoci che nella scienza il principio di autorità vale zero, quindi penso proprio che userò l’opinione per pulirmi i cosiddetti.
Anzi, non posso che citate una perla dell’articolo originale:
A recent Wall Street Journal article argued shoes in the home aren’t so bad. The author made the point that E. coli – dangerous bacteria that develop in the intestines of many mammals, including humans – is so widely distributed that it’s pretty much everywhere. So it should be no surprise it can be swabbed on shoe bottoms (96% of shoe bottoms, as the article pointed out).
But let’s be clear. Although it’s nice to be scientific and stick with the term E. coli, this stuff is, put more simply, the bacteria associated with poo.
E quindi? È il batterio della merda quindi ho ragione io? Batterio che, ricordiamo, si trova anche in molti spazzolini da denti?
Ma chissenefrega se viene dalla bocca, dal culo o dal naso, è un argomento indegno della scienza. Ciò che conta è: ha il potenziale di fare del male? Se si, con che frequenza? Quali sono le probabilità che una persona stia male a causa di E. Coli preso solo dalle scarpe e non, ad esempio, per non essersi lavato le mani dopo essere andato al bagno.
Whether it is ours or Fido’s, it has the potential to make us very sick if we are exposed at high levels
A meno che lavoriate in un letamaio, e in tal caso le scarpe le togliete anche solo per la puzza e lo sporco, ho molti dubbi che vi siano queste grandi possibilità di trasferimento, ecco. Specie se fate una cosa rivoluzionaria: pulire il pavimento. D’altronde, non mi pare che nei paesi scarpisti vi siano epidemie di E. coli: il rischio dato dalle scarpe è minimo.
Certo, dicono gli autori: il costo è minimo e il beneficio, anche se minimo, ne vale la pena. Ma:
- In tal caso non inizi l’articolo parlando di cose disgustose
- Esiste sempre un fattore culturale o di abitudine
La scienza non vi darà mai un comandamento, infatti il mio articolo non vi dice che togliersi le scarpe in casa è contro la scienza. Sarebbe idiota dirlo. Banalmente, sostengo che coi dati attuali l’inquinamento e lo sporco delle scarpe, di media (può essere diverso per immunodepressi o bambini), è una delle ultime cose di cui preoccuparsi.
Se credete che ogni vostro comportamento debba essere giustificato dalla scienza allora forse ciò che cercate è una religione: brevi comandamenti che arrivano da una fonte superiore (molto superiore) e che vanno rispettati per quello che sono, senza dubbi. Se mi mandate 100€ su PayPal posso darveli io.
Anche senza scienza esistono validissime ragioni per togliere le scarpe in casa, come la cultura, la pulizia (magari un calzino porta gli stessi batteri di una suola di scarpa ma obiettivamente ha meno sporco visibile), la salute del pavimento, la comodità, il rumore, l’informalità e via discorrendo.
La cultura fa fare cose strane, eh. Io mangio il 3 febbraio ogni anno il panettone perché si diceva che facesse bene a gola e naso. Ci credo? Assolutamente no. Lo faccio? Sì, è tradizione.
Parliamo anche della stretta di mano? Un retaggio antico che scambia germi su germi ma anche una forma di saluto che rappresenta tantissimo per noi. Ci son paesi dove se non stringi la mano alla commissione non ti danno la cittadinanza, eh.
Dunque, se la tua cultura è che le scarpe restano finché non vai sul letto, a me va bene (vero, Irlanda?), se la tua cultura è che restano all’ingresso mi va altrettanto bene.
Se vengo a casa tua e ho piacere di esserci e la tua regola è scarpe fuori, che sia perché la tua cultura lo richiede o perché hai il legno delicato, la rispetto.
La mia cultura, banalmente, è che non me ne frega un cazzo di media.
Potrei cambiare idea in una giornata di neve o in alcuni contesti particolari, ma nella stragrande maggioranza dei casi non ho problemi con le scarpe in casa. Parimenti, se una persona con cui ho confidenza ha buone ragioni per togliersi le scarpe la cosa non mi scandalizza.
Cosa c’entra la scienza con tutto ciò? Nulla, perché la differenza tra scarpe dentro e scarpe fuori è così minima che me ne posso allegramente sbattere i coglioni.
Terzo punto, noto che l’autrice dell’articolo è una giornalista che fa divulgazione. Non voglio tirare in ballo lei singolarmente perché di articoli del genere ne sono usciti in varie lingue e su vari giornali, tuttavia mi chiedo una cosa: Focus è all’incirca una rivista scientifica popolare. Non sarebbe meglio che a scrivere di scienza fossero… Scienziati? Anche esperti in divulgazione, eh, che è importante, ma che riescano a scrivere articoli più sostanziosi, non limitandosi a fare il lavoro del giornalista, che al giorno d’oggi è molta compilazione e poca elaborazione.
Poi, per il giornalista scientifico ci sarà sempre spazio, sui giornali generalisti, per spiegare ciò che il giornalista medio (combo classico+laurea umanistica) non può capire nemmeno coi disegnini.
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