La posizione “pragmatica” sull’aborto è, sostanzialmente, che dev’essere legale, ma solo sino a un certo punto, perché ovviamente dopo diventa un qualcosa di inaccettable, quasi un assassinio.
Ora, in Iowa hanno deciso che questo limite è sei settimane. E?
Nel momento in cui tale limite non è assurdamente basso (tipo all’impianto o alla gastrulazione) e permette di accorgersi della gravidanza, possiamo tranquillamente affermare che l’accesso all’aborto è garantito.
Il limite è solitamente ispirato a qualche evidenza scientifica: a sei settimane il cuore batte, a 12 (limite italiano) il feto è completamente formato, a 21/22 ha qualche probabilità di sopravvivere fuori dall’utero e infatti sono limiti (con qualche varietà pratica) abbastanza diffusi. Ma, se per questo, sappiamo che alla concezione nasce un nuovo individuo, che viene confermato come singolo alla gastrulazione, e che alla nascita smette di dipendere fisicamente dalla madre.
In ogni caso, specie in questa era del sesso visto come diritto positivo che lo stato deve fare di tutto per renderlo sicuro, basterebbe fare un test di gravidanza ogni due settimane per essere ragionevolmente sicuri di beccare una gravidanza: tanto, lo pagherebbero i contribuenti. Anche l’NPR sostiene che tale limite darebbe un paio di settimane, di media, per decidere: poche sì, ma nulla di impossibile.
Torniamo a noi: il fatto che limiti così radicalmente differenti siano accettabili mostra come le leggi sull’aborto siano scritte bene finché non ci pensi troppo.
Se le intendiamo come compromesso sociale per ridurre la piaga dell’aborto togliendolo dalla clandestinità e agendo sulle cause scatenanti, hanno anche funzionato. E alla fine, spesso, il pragmatismo consiste nell’ignorare volutamente le categorie binarie del giusto e dello sbagliato e dire “va bene, ammettiamo un male per ridurne un altro”.
Ma ormai viviamo nell’era dell’aborto come diritto, del (fallacissimo su almeno due punti, ma non è il caso di parlarne qui) “il mio corpo, la mia scelta” e del medico visto non come qualcuno che salva le vite ma che le termina come forma di contraccezione ritardata e guai a lui se non lo fa…
Quindi, se riguarda solo il corpo della madre ed è una sua scelta, qual è il punto di un limite temporale? L’aborto dovrebbe essere lecito sino all’ultimo momento della gravidanza. Per quale ragione lo stato dovrebbe arrogarsi il diritto di dire che non è più la tua scelta dopo 42, 90 o 154 giorni se è il tuo corpo?
Ancor peggio, dovrebbe essere lecito anche dopo. La sopravvivenza di un neonato dipende, onestamente ancora più di quella del feto, dalle cure materne. Obbligare una donna a fornirle non è forse obbligarla a usare il proprio corpo, per di più in modo attivo, a differenza della gravidanza che avviene passivamente?
Se, come capita spesso nel mondo femminista/progressista oggi, si vogliono considerare superate le gravi cause che hanno portato all’approvazione di leggi come la 194 (e chi pensa che non ce ne fossero, beh, parli con una donna che all’epoca aveva almeno 20 anni) benissimo, a quel punto è ovvio che l’aborto non si può più giustificare dicendo che in molti casi è l’unica occasione in cui una donna poteva dare il proprio consenso ad una gravidanza (e sì, negli anni ’70 capitava ancora e spesso) e esso va inquadrato come diritto inalienabile sul proprio corpo.
Che, per l’appunto, vuol dire che non può essere limitato. E allora si cerca lo scontro di civiltà che può anche finire com’è finito negli Stati Uniti.
Nel mentre, io voglio credere che quelle che urlano siano una minoranza e che la maggioranza degli aborti avvenga per gravi cause e che il nostro tempo sia speso meglio a provare a risolverle invece di spiegare la biologia di base a gente che, forse, è meglio non si riproduca.