Quando avviene un infanticidio improvvisamente tutti diventano provita.
Tutti gli argomenti che ho sentito per dire che ciò che ha fatto la ragazza di Parma è sbagliato sono fondamentalmente argomenti contro l’aborto. Che poi, per carità, si sa bene in etica che “if abortion, then infanticide”, ma è particolarmente interessante vedere la prova inversa.
Leggiamo che una madre che uccide il proprio figlio commette un atto spregevole contrario alla natura materna, che nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di vita e di morte su di una persona, che poteva darlo in adozione, per non parlare della “colpa collettiva” di chi le era attorno.
Il tutto stessa società che eleva l’aborto a diritto, chiede il divieto di qualsiasi informazione che potrebbe caratterizzarlo per l’atto che è e non come una cosa di poco conto come la rimozione di una cisti.
Ma se il movimento pro vita vede nella donna la seconda vittima dell’aborto e agisce sempre secondo carità (per quanto alle volte in modi un po’ irruenti), piaccia o meno a quelli che pensano che l’unica definizione di amore è “supporto totale anche quando ti butti dal balcone”, qui si chiedono manette, roghi e forche.
Ma oggettivamente, che differenza c’è tra la mamma che va ad abortire il figlio in grembo e quella che lo seppellisce vivo? La capacità giuridica? Non ditelo a Gasparri…
Nella storia, quando l’aborto non era diffuso come oggi, si praticava l’infanticidio senza porsi troppe domande, se lo si riteneva necessario. Ne parlava anche il Beccaria, proponendo la prevenzione rispetto alla repressione.
E non facciamo i sentimentali, un neonato è meno cosciente e senziente del mio cane, se eliminare un feto va bene perché “non è senziente” deve andare bene anche eliminare un neonato, la cui concezione di dolore non è minimamente paragonabile alla nostra (e, in ogni caso, basterebbe ucciderlo senza dolore per rendere immediatamente morale il tutto).
E non facciamo nemmeno quelli delle date: la legge italiana in materia, parecchio conservatrice, permette l’eliminazione di feti che qualsiasi testo di embriologia definisce pienamente formati, seppur in extremis e, in generale, sapete cosa succede se non eliminate quell’embrione di sei settimane? Ah già, che diventa uno di otto mesi per cui tutti griderebbero all’omicidio se venisse abortito.
La differenza è solo una: che nell’infanticidio il bambino lo vedi e devi ammazzarlo tu, nell’aborto fa tutto il medico di nascosto, lo fa sembrare una procedura medica, come se togliesse un calcolo. Anche per questo gli abortisti odiano visceralmente qualsiasi esposizione della realtà biologica della gravidanza, di cosa sia un feto e del suo sviluppo e vogliono far credere che sino all’ultimo sia poco più che una blastula.
Nell’infanticidio il corpo del delitto si vede e sappiamo tutti com’è fatto, nell’aborto viene nascosto e, tutto sommato, l’abbiamo visto solo da un’ecografia in bianco e nero.
Viene da chiedersi se con una maggiore educazione sulla natura del feto ci sarebbe una svolta pro-vita in generale, e considerando appunto la grande rabbia e la difesa quasi spasmodica del laico-sacramentale “diritto all’aborto libero” quando qualcuno osa produrre un gadget o un pannello che mostra un feto mi viene da dire di sì, ma non si sa mai…
In ogni caso, se abbandoniamo la visione pragmatica della riduzione del danno (comunque sempre meno sostenibile più si diffonde la contraccezione e l’educazione sessuale) o bisogna sostenere il diritto della madre a uccidere il figlio finché questi non capisce di venire ucciso o bisogna tutelare la vita sin dal suo principio, ammettendo al massimo delle eccezioni dolorose.
Considerando la sessuomania della nostra società, ormai alla fase fallica, è abbastanza evidente chi vincerà, ma almeno si sia coerenti: se stiamo con l’aborto come diritto assoluto, bisogna anche stare con la ragazza di Parma, altrimenti, l’aborto è semplicemente occultare i nostri delitti dietro a una cortina di medicalizzazione.
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