Il vero problema dell’obiezione di coscienza sull’aborto

di | 10 Febbraio 2025

Non è l’accessibilità. Non almeno in Italia, dove ogni anno il ministero della salute, che sia tecnico, di sinistra o di destra, se ne esce col solito rapporto in cui mostra come la 194 sia applicata esattamente come l’anno prima, il numero di aborti cala e chiunque desideri, dopo i necessari passaggi, può abortire. Poi capita che c’è la persona che ha problemi ad accedervi eh, ma signori miei, parliamo del SSN italiano, quello dove anche per prestazioni salvavita ti dice che fino al 2027 non ha posto e dove mezzo Paese deve curarsi nell’altra metà!

Anche fosse che gli obiettori rendono inaccessibile l’aborto, comunque, bisogna partire da due semplici fatti per analizzare razionalmente il tutto:

  • L’unico caso di gravidanza per opera dello Spirito Santo in letteratura risale a più di duemila anni fa, nel resto dei casi o deriva da un atto carnale o da un altro atto simile (inseminazione artificiale ecc.)
  • Generalmente la gravidanza non è un qualcosa che va curato né un problema medico ma semplicemente un processo naturale

Il caso degli aborti medicalmente necessari

Ora, esistono indubbiamente gravidanze il cui proseguimento mette a rischio la vita o la salute della donna. Per fortuna, sono un’estrema minoranza. In questo caso, si pone effettivamente un contrasto tra due interessi differenti.

La donna ha il diritto alla salute e alla vita e la gravidanza lo mette in pericolo: il medico giura di “perseguire la difesa della vita” e di “non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte”, ma cosa fare se la difesa della vita della donna e “la tutela della salute” vanno in conflitto con gli stessi interessi del feto?

Questa è una seria questione etica e trovo abbastanza ragionevole che la società preferisca tutelare la vita che già c’è e ha vissuto rispetto a quella nell’utero che potrebbe, per mere cause naturali, finire con probabilità più elevata rispetto alla vita extrauterina. La madre che muore per il figlio fa un atto di eroismo, non un atto dovuto. La gran parte delle leggi sull’aborto, pur garantendo l’obiezione di coscienza, prevedono eccezioni in determinati casi, se necessario per salvare la vita della madre.

Il come bilanciare tutto ciò da un punto di vista legale è una questione estremamente complicata e si spera, banalmente, che non si debba farlo mai: i casi medici sono rarissimi e anche con pochi medici non obiettori le cure per le donne dovrebbero essere garantite, nel momento in cui la legge garantisce che una donna che arriva in PS con l’utero sanguinante sia trattata da chiunque ci sia in quel momento, non dovrebbe esserci problema.

Gli aborti in caso di stupro e malattia del feto

Avrete notato che ho parlato di cure per le donne. Ebbene, per quanto agli attivisti piaccia parlare di “abortion care”, al di fuori dei casi visti al di sopra non è “care”: se è difficile capire che un medesimo atto possa essere medico o meno basti pensare alla chirurgia plastica vs estetica, alle amputazioni o alle circoncisioni. Ma sono gli stessi che si sono inventati il concetto di “diritti riproduttivi” per fare finta che tutta la società debba piegarsi alle loro necessità derivanti di una vita sessuale disordinata, almeno il patriarcato, nell’ammazzare, lo chiamava “delitto”, pur giustificandolo – più o meno – poiché “d’onore”.

Nel caso di stupro, o altra coazione sessuale, penso proprio proprio che le donne debbano avere una libertà negativa a terminare la gravidanza: la ragione è semplice, non hanno mai acconsentito ad essa dando il consenso all’atto sessuale. Per quanto riguarda la grave malattia del feto, seguo invece un’altra logica: la mamma è di media la persona che se deve scegliere tra il figlio morto in incidente e il figlio paralizzato totalmente sceglie la seconda opzione, perché “almeno c’è ancora”. In certi casi (ovviamente cose gravi, non se manca un dito o, come diceva Watson checché ne dicesse il suo difensore d’ufficio Dawkins, se fosse gay) è un atto di pietà.

Ma ad una libertà negativa non corrisponde un dovere per gli altri. Pragmaticamente si può fare il discorso di prima: i casi di stupro e feto malato sono talmente rari che non sarebbero un significativo carico per i medici non obiettori, ma se tutti obiettassero? A mio parere non sarebbe corretto l’intervento coercitivo, quel che legittimamente potrebbe fare lo Stato è estendere altre libertà negative, ad esempio consentendo ad altri medici di praticarli previo addestramento adeguato.

Gli aborti volontari

Che poi sono la stragrande maggioranza degli aborti e da essi derivano la stragrande maggioranza delle lamentele sull’obiezione di coscienza.

Ecco, per me l’aborto dopo un coito consensuale è un qualcosa che lo stato può tranquillamente regolamentare e se così desidera e ritiene di aver le capacità di poter far rispettare una proibizione, vietare. Farlo non lede alcuna libertà fondamentale, dato che la scelta di coire è avvenuta liberamente e sapendo delle possibili conseguenze, e argomentare che la sua liceità è un diritto perché tanto lo fanno comunque, oltre che essere fondato su evidenze di cinquant’anni fa, è senza alcun dubbio fallace. La riduzione del danno è argomento prudenziale, non dirittistico.

Chiaramente, se l’aborto volontario è lecito non è illecita la condotta del medico che lo pratica, ma altrettanto è lecita la condotta del medico che non vuole praticare nemmeno pagato. Proprio perché questi aborti non sono medicalmente necessari non è il dovere del medico, né in realtà il suo lavoro, praticarli, come per qualsiasi attività medica non necessaria.

In Italia l’obiezione di coscienza è normata ristrettivamente rispetto al generale principio deontologico che permette al medico di rifiutare di fornire la sua opera in qualsiasi caso in cui, senza dare grave nocumento alla salute del cittadino, la prestazione va contro il suo convincimento morale o clinico. Senza le specifiche disposizioni della 194 un medico potrebbe essere “un po’ obiettore”, facendolo in alcuni casi e non in altri, in base al proprio giudizio morale del momento. Tra l’altro, secondo alcune analisi del codice deontologico, l’aborto legale è nei fatti un’eccezione alle regole classiche, tant’è che è accettabile solo nei limiti della legge.

Ma non ha proprio senso discutere del medico cattivo che ti toglie i diritti quando la tua occasione per autodeterminarti sulla gravidanza ce l’hai già avuta ed, evidentemente, non l’hai usata. Un medico può farlo, se vuole, ma non si può pretendere che si genufletta e butti nel cesso il proprio convincimento etico e clinico per fare un intervento medicalmente non necessario, eticamente controverso e che, se evitato, porta alla nascita di un bambino sano da una mamma sana (che tragedia!). Abortion is Not Healthcare.

Comunque, diciamocelo chiaramente, anche ai non obiettori non è che piaccia l’aborto, lo fanno giusto perché temono l’alternativa. Quando leggete le storie dei ginecologi che fanno pressione psicologica o si mettono a falsificare documenti per evitare aborti sono non obiettori. Se l’obiettore se ne chiama fuori il non obiettore prova (con mezzi leciti o meno) a farti cambiare idea sino all’ultimo e poi, temendo che la donna si rivolga a praticanti clandestini che fanno più danni che altro, lo pratica comunque.

Il vero problema…

È di immagine e ideologia. Il fatto che il 70% e passa dei medici, quelli che hanno studiato, si rifiutino di praticare aborti è un enorme ostacolo alla normalizzazione di essi. Qualcuno dice che un buon numero di medici non è che obietti perché lo ritiene eticamente inaccettabile, ma perché non vuole il carico di lavoro, tuttavia, se anche così fosse, se parlassimo di una procedura medicalmente necessaria ho forti dubbi che si asterrebbero. Si tratta comunque di una conferma di ciò che diciamo, ossia che l’aborto volontario non è

Per di più, nella visione teologica egoteista esistente oggi, dove qualunque forma di autodeterminazione sessuale sul corpo è lecita e l’aborto è diventato un sacramento, l’idea che qualcuno possa rifiutarsi di prendervi parte implica che si rifiuti di fare autodeterminare quella persona e che, dunque, sia cattivissimo. Rimane ovviamente assurdo prendere parte in attività il cui fine naturale è la riproduzione e, quando essa avviene, pretendere che un terzo presti la propria mano per “autodeterminarci”, ma in una società così (dis)ordinata il 100% di obiettori vorrebbe dire la fine dell’aborto legale, un qualcosa di impensabile.

Ci dicono che l’aborto non è nulla di sbagliato, una scelta di ognuno, che il feto non è vita e che è un diritto. Gli obiettori di coscienza sono la più palese testimonianza che non è così. Si rifiutano di validare il mito che permette a centinaia di migliaia di persone di vivere la propria sessualità come la vivono. Ecco il vero problema.

In sintesi…

Un’opposizione tra diritti della donna e diritti del medico esiste solo nei casi di pericolo grave per la salute della donna, dato che all’inazione del medico corrisponde un rischio per la vita e l’integrità fisica di quest’ultima: in tal caso, la legge deve agire. Per il resto, proseguire la gravidanza non è una problematica medica, quindi non rientra nei doveri del medico la sua terminazione.

L’aborto può essere legale, in certi casi è probabilmente il male sociale minore. Ma tale legalizzazione può essere intesa solamente come una possibilità, per il medico, di procedere a certe condizioni, non come un dovere del medico di terminare ogni gravidanza su richiesta. Nemmeno l’argomento di riduzione del danno, come accennato, crea un dovere, altrimenti qualsiasi folle pratica medica dovrebbe essere imposta ai medici perché qualche scalzacani la fa peggio: potrebbe valere anche per l’infibulazione (e infatti, qualche ginecologo, è a favore di forme poco invasive di mutilazione genitale femminile)

Tutti gli argomenti per cui l’aborto elettivo dovrebbe essere un dovere tipicamente falliscono su uno dei punti visti: considerano la gravidanza una malattia (e non lo è), considerano l’aborto come una cura (e non lo è), considerano l’obiezione sempre figlia di chissà quale convincimento religioso e non un semplice convincimento etico dato da uno studio della natura dell’embrione/feto (leggetevi questo, è una perla che in qualche modo è finita sui giornali scientifici), ritengono che non prestare la propria mano voglia dire imporre i propri valori al paziente (come se il medico dovesse limitarsi ad assistere ad un processo biologico che porta alla morte del feto e non cagionarla), ritengono l’aborto necessario all’autodeterminazione di una persona (e nel 99% dei casi non lo è) o semplicemente ripetono questo o quello slogan stile Rosario mentre meditano il mistero gaudioso dello smembramento del feto e minacciano di morte il medico obiettore dal quale vorrebbero farsi mettere le mani nell’utero per legge.

Detto ciò, è evidente e comprensibile che per tanta gente sia importante decidere se avere o meno una gravidanza. Considerando che è facilissimo evitare una gravidanza astenendosi dalla sessualità penetrativa vaginale qualora proprio non si possa proprio affrontarla non è sciocco affidare la propria “autodeterminazione” completamente a terzi che non sono tenuti a dare una mano, figuriamoci un cucchiaio (d’oro o meno)? Su questo, che è il vero significato di sessualità consapevole, dobbiamo lavorare.

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