Il problema della cultura antimafia

di | 4 Dicembre 2021

Stavo guardando questa serie dell’avvocato Catania, un canale che sto apprezzando e che vi consiglio, e mi è venuta in mente una considerazione sul tema, che è appunto l’antimafia.

Ebbene, a mio parere portare cultura antimafia dove la mafia non è culturalmente radicata è un errore non da poco, dato che vuol dire, per ovvie ragioni, portare cultura di mafia.

D’altronde, la possibilità che le azioni dello stato italiano aiutino la mafia non è mica una cosa nuova, ricordiamo che lo stato ha importato la mafia al Nord a colpi di soggiorno obbligato. A Roma non la si fa…

Comunque, tornando a noi, la cultura mafiosa è un sottinsieme specifico di una cultura diffusa in alcune regioni meridionali, nemmeno tutte. Sarebbe relativamente semplice targettizzare quelle zone e trattare, nel resto dello sciagurato Paese, le associazioni mafiose per ciò che sono, ossia un corpo estraneo.

Ma siamo pur sempre del paese dove non si adattano localmente i salari, figuriamoci la lotta alla mafia, quindi si impone a tutti la stessa cultura, forse complice la provenienza di molti docenti, che porta a ritenere la mafia un’emergenza culturale quando dove insegnano è di altro tipo (politica, economica e sociale). Poi ci sono i disperati mentali che siccome al paesello loro pure la sicurezza era omertosa vedono omertà ovunque e se uno fa qualcosa ovviamente lo sanno tutti e iniziano a urlare MAFIOSSI, MAFIOSSI, ma quelli sono probabilmente reietti nella società e possono ottenere rispetto solo superando il concorsone.

Figa, certo che alle volte riesco a fare invidia al Sizzi, se miro il mio odio non per etnia ma per scelte di vita sbagliate…

Comunque, informare sulla criminalità organizzata è bene, sia chiaro. Esiste, Roma ce l’ha portata (grazie Roma!) e fa di tutto per finanziarla, ad esempio rinunciando ad un corposo monopolio sulla droga per darlo ad essa, ma d’altronde si sa che le campagne elettorali non si pagano da sole…

Certo, difficile che gente che vive grazie a Roma venga ad ammettervi le enormi responsabilità di Roma, ancor più difficile che effettivamente le conoscano, invece di limitarsi a leggere qualche paragrafo sul libro.

Invece, partire dall’assunto che tutta l’Italia debba essere culturalmente rieducata all’antimafia è una stronzata. La mafia è figlia di una specifica cultura arretrata di origine borbonica, diffusa appunto in alcune zone e condizioni sociali del Meridione, e quella cultura si deve combattere. Andare dai giovani milanesi che una cultura così non la vedevano dal medioevo o in quelle zone ricche del Sud dove i mafiosi li prenderebbero a schioppettate è al meglio una perdita di tempo.

Al peggio, un favore. Come dicevo, l’antimafia italiana non può prescindere dal diffondere la cultura che vuole combattere. Io penso solo a Gomorra, un baluardo del pensiero antimafia, tramutato in una serie TV.

Vista da alcune persone culturalmente vicine al sottoscritto, ma col gusto dell’orrido, la serie non risulta particolarmente lusinghiera per la criminalità organizzata.

Ma dite che un ragazzino che vive in un contesto difficile, dove magari esiste già una qualche infiltrazione di malavita, lo capirà o proverà ad essere come i suoi eroi televisivi?

Senza contare che spesso, in Italia, la cultura antimafia si limita a “lo Stato è meglio”, che è vero da un punto di vista morale (lo Stato non ti ammazza per uno sgarro, anche se a volte i suoi pubblici ufficiali sì, ma in ogni caso rischiano una dura condanna a qualche mese di domiciliari o a Santa Maria Capua Vetere, ossia l’unico carcere in Italia ad essere decente), ma spesso non da un punto di vista pratico: ricordiamoci che durante il primo lockdown, mentre Giuseppi piangeva in diretta perché i cattivi tedeschi non sganciavano cash, la criminalità organizzata dava aiuti (anche se decisamente non disinteressati).

In certe zone dire “lo Stato è meglio della mafia” suona come una presa per il culo, se al contempo non si interviene in altro modo. Parliamo di zone povere, ad alta immigrazione (interna od esterna),  marginalizzate geograficamente o socialmente e dove la criminalità può offrire un codice di regole e opportunità. Questo è il modo in cui, tra l’altro, sono nate varie mafie metastatiche in Puglia e altre regioni meridionali e si sono infiltrate le mafie al Nord, con l’aiuto di Roma che ha portato i mafiosi al Nord col già citato soggiorno obbligato.

Io penso solo alle mie scuole medie, che servivano sia zone decenti dove vivevano lombardi, meridionali e stranieri ben integrati e che lavorano e anche zone povere, popolari, ancora culturalmente vicine a quel modello borbonico mafiogeno.

Fare cultura antimafia in questa scuola avrebbe avuto due risultati:

  1. Annoiare chi viene dalle zone decenti. La cultura di mafia, a Milano e tra milanesi, non esiste. Qui al massimo esisteva la linsgera e il massimo di criminalità milanese fu il Vallanzasca, idem in Lombardia eh. Mi può interessare sapere come denunciare un episodio e come eventualmente lo Stato mi proteggerà, ma per quale motivo mi devi fare anticultura di una cultura che non ho?
  2. Interessare, e non in senso buono, chi viene dalle zone a rischio, quelle isolate e marginalizzate, affascinandolo con quella visione d’onore e di società organizzata

E non è solo questione di noi vs loro. Per quanto marginalizzate, non sono comunità isolate, è possibile del “contatto osmotico”, è ben possibile che un ragazzo di una famiglia onesta, che vive vicino a certe zone, magari con entrambi i genitori che lavorano tanto e lo curano poco, possa farsi trascinare all’interno di questo mondo.

Ergo, a mio parere, fare cultura antimafia in tutta Italia vuol dire non riconoscere la specificità locale e culturale del fenomeno e sprecare risorse, che potrebbero essere usate per portare significanza culturale dove c’è effettivamente bisogno, per tenere i ragazzi in luoghi difficili lontani dalla strada, per creare iniziative locali e così via.

Ogni esposizione sulla mafia fatta a Milano, a studenti culturalmente milanesi, è una società sportiva che non nasce a Napoli, in un quartiere dove c’è bisogno, ogni euro speso in un progetto contro la mafia nelle scuole a Brescia, è un euro non speso per un centro giovanile in Calabria.

E ora so che qualcuno dirà che “eh ma la mafia c’è anche al Nord”. Certo, ma non la fanno sicuramente i Brambilla, o i Russo che hanno l’ultima ascendenza in Meridione nel 1910 e ora hanno la foto di Bossi in camera. È sempre figlia del soggiorno obbligato o di zone ad alta immigrazione che hanno resistito ad ogni forma di immigrazione. Il discorso sulla necessità di targettizzare è valido anche qui.

C’è da dire, però, che Roma al solito non pensa alle conseguenze inattese, e questa cultura antimafia massiva ne ha un’altra interessante: una volta che ti rendi conto dell’abisso culturale che c’è tra la tua cultura e quella mafiogena, inizi a diventare lombardista o nordista.

Magari nel modo peggiore, ossia credendo che tutti i meridionali sono mafiosi…

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