Ho trovato casualmente questa discussione del 1997 indignatissima perché Ethnologue ha deciso di escludere dal novero dei parlanti italiani chi parla lingue gallo-italiche. Ora, ovviamente, è una decisione poco sensata, anche perché una persona può parlare più lingue ed è ben difficile che nell’Italia di fine anni ’90 qualcuno potesse davvero parlare così poco italiano da essere escluso dal novero degli italofoni, tuttavia l’autore del commento parte incattivito contro l’idea stessa
Prima di tutto vi chiedo di non essere troppo duri con l’ospite della discussione: si vede, è il classico uomo della sua era che, a modo suo, ha parole buone per i dialetti, un po’ come il signore della capra e la donna. Leggendo poi questo articolo è ben chiaro che non si tratta di un glottofobo.
Il significato di gallo-italico e le sue basi
Comunque, partiamo dal primo assunto: già iniziare con:
“il prefisso «gallo-» significa qui «francese», non «gallico», quindi eliminiamo una buona volta allobrogi, Vercingetorige e tutti i celti di bossiana memoria”
vuol dire dare un’impronta politica non indifferente a tutto ciò che segue.
Pensate se io iniziassi un articolo sulle lingue galloitaliche dicendo:
“e italico indica semplicemente il fatto che è parlato nell’area geografica italica, con buona pace dei fascisti di mussoliniana memoria”
Verrei preso sul serio? Ecco.
Poi procede a citare alcuni tratti tipici degli idiomi gallo-italici, dichiarando che esse sono praticamente le uniche cose che li allontanano dall’italiano, quando anche semplicemente Wikipedia mostra una situazione differente: i tratti sono tanti e l’enciclopedia libera, che prova solo a trattare ciò che unifica, non analizza i tratti di comunanza con i dialetti transalpini. Che, tra l’altro, vi sono anche a livello grammaticale (qui vi sono alcuni esempi, solo in lombardo), per non parlare poi dell’ovvia costruzione progressiva, che in italiano, catalano, spagnolo e portoghese si fa con “stare” + gerundio (dialetti italoiberici confermati, verrebbe da dire usando il tono dell’autore), mentre in lombardo, emiliano, veneto, friulano, occitano, francese e piemontese no: i primi quattro usano “esser dietro a”, l’occitano usa “essere a”, il francese “essere in treno di” e il piemontese “essere in cammino che”.
Il raggruppamento del gallo-italico
Ma anche fingendo che tali tratti non ci siano l’autore ignora quella che sarebbe un’ovvia soluzione: un gruppo padano distinto sia dai gruppi d’oltralpe che dall’italiano. D’altronde, se già al tempo si conoscevano le varie isoglosse che separano Rimini da Roma, basta usare oggi AIS Dialettometria per vedere che la primissima partizione in Italia è proprio quella che separa l’italiano dal gallo-padano! Dire che se le lingue gallo-italiche non sono di ceppo “francese” allora sono necessariamente italiane è una falsa dicotomia bella e buona. Possono costituire, in autonomia o con veneto e lingue retoromanze, un proprio gruppo.
Si parla poi del plurale, ed è vero: il plurale stacca le lingue gallo-italiche dagli idiomi “francesi”. Il gallo-italico ha plurali vocalici, non sigmatici. Tuttavia, fa notare l’autore stesso che anche il rumeno ha plurali vocalici e, ricordiamolo, il gruppo rumeno confina (bizzarramente, con l’istrorumeno) con il suo gruppo italiano. Dunque, il rumeno è forse un dialetto italiano? Se si nega la possibilità che il gallo-italico possa essere un gruppo a parte, confinante, lo stesso vale per il rumeno. Tricolori fino a Chisinau, suppongo. Per di più, nelle lingue del Nord che mantengono il plurale sigmatico, come ladino e friulano, esso è spesso temperato da forme molti più vicine a quelle delle altre lingue senza plurale sigmatico. Usando la dialettometria del citato sito è interessante notare che si distacchino prima l’italiano e il meridionale rispetto a tutta la Padanìa. In un contesto del genere, se si vuole avere qualsiasi obiettività, usare il plurale come se fosse questa grande scriminante è francamente ridicolo.
Poi, comunque, ritengo che in ogni caso queste classificazioni siano spesso fatte pròprio senza obiettività ma solo come forma di supremazia linguistica: d’altronde gli italiani hanno provato a lungo ad argomentare che il romancio fosse un dialetto!
Ma anche fingendo due volte che siano nello stesso gruppo dell’italiano… Ciò li rende necessariamente dialetti italiani? Spagnolo e portoghese sono considerati parte dello stesso gruppo e non mi pare che ci siano molti dubbi sul considerarli lingue distinte… Questo argomento, più che alle lingue sopra la Massa-Senigallia, è utile a napoletano e siciliano che, effettivamente, sono raggruppabili con l’italiano.
In ogni caso, se si vuole ritenere “errore di fondo” ciò su cui si fonda lo studio della linguistica dagli anni ’70 non sarò io a dire nulla.
Il rapporto tra lingue e società
Continuiamo a leggere:
i dialetti italiani stanno progressivamente perdendo i loro tratti più distintivi. Se leggiamo un testo genovese del passato, ci accorgiamo di quanto il genovese di oggi si sia evoluto verso l’italiano regionale ligure
Non ha senso rinchiudere i dialetti italiani di oggi in «scatoloni» che potevano essere validi in passato, ma che non lo sono più. Il «lombardo», il «piemontese», il «ligure» esistono solo come sottosistemi all’interno del sistema italiano, e per di più presentano al loro interno una differenziazione notevole.
Se bastasse ciò a far decadere una lingua, beh, l’italiano sarebbe già decaduto da tempo. Da quand’è che i forestierismi imperano, d’altronde? L’italiano di una riunione di lavoro tra manager o informatico è DECISAMENTE più “corrotto” del lombardo parlato dai ticinesi, che è la sagra dell’italianismo!
Certo, usare forestierismi è sbagliato e non dovremmo farlo, quindi non vale. E io dico che usare italianismi è sbagliato, quindi non vale. O vale per l’italiano e per le lingue gallo-italiche o per nessuno. Tertium non datur.
Che poi, sul tema, i dialettologi (seri) hanno parlato eccome: se è vero che c’è stata una convergenza non ha snaturato i due idiomi. Leggete il Sanga, per il lombardo, se non mi credete. Un certo avvicinamento lessicale non nega le differenze grammaticali e fonetiche.
Sul terzo punto ho poco da dire, è sociolinguistica spicciola, solito romanticismo nazionalista, filosofeggiamento e robe simili, tutta roba lontana dalla visione scientifica che mi interessa. Dico solo che l’idea che se un idioma finisce socialmente registro di un altro allora non ha più dignità di lingua vuol dire che, fondamentalmente, tutte le lingue dell’Unione sovietica sono dialetti russi. Potrebbe essere una bella idea andare nella sede del battaglione Azov a dire che l'”ucraino” è un registro del russo, sono sicuro che spiegheranno civilmente perché non è così.
Conclusioni
Spero che questa opinione semiseria e semiscientifica sul tema vi sia piaciuta: d’altronde, se di letteratura scientifica sul tema ce n’è tanta (consiglio particolarmente la dialettometria di Tamburelli!), così come c’è tanta letteratura di altro tipo, a testi informali una risposta informale, che dà comunque spunti che permettono di studiare autonomamente quanto detto, male non fa…
Personalmente sono incline a pensare che la posizione degl’idiomi cisalpini (termine che preferisco a galloitalici) rispetto all’italiano (standard) sia paragonabile a quella di quelli francoprovenzali rispetto al francese (standard), piuttosto che a quella del “normand”, del “galo” o del “poitevin” rispetto al francese.
E poiché credo che non vada neppure sottovalutata la forte peculiarità dei dialetti del Mezzogiorno (massime di quello adriatico), penso che sia legittimo tracciare un parallelo tra Italoromània e Galloromània: entrambe queste aree della neolatinità si presentano con una lingua-tetto unitaria che nel corso dei secoli ha determinato forme di convergenza e quindi di differenziazione rispetto all’esterno (p.es. ampliando la differenza tra occitanico e catalano), senza tuttavia ridurre le divergenze interne sino al punto di ridurre la molteplicità a dialetti d’un’unica lingua: quindi trovo corretto parlare di “lingue galloromanze” e “lingue italoromanze”, al plurale, anche se solo in senso classificatorio, non sociolinguistico.
La differenza tra Italoromania e Galloromania sta da una parte nel fatto che mentre la lingua nazionale nel secondo caso ha caratteri nettamente sblinaciata in senso settentrionale, nel primo la sua base toscana in qualche modo presenta un carattere di mediazione tra nord e sud e quindi suggerisce un’illusione di maggior omogeneità. Dall’altra parte in Italia oggi le parlate locali, quando sono ancora usate, lo sono in modo fortemente italianizzato o frammisto all’italiano, mentre in Francia essendo ormai uscite dall’uso corrente, laddove ancora compaiano (letteratura, testi scritti da militanti della rivitalizzazione linguistica) lo sono programmaticamente in forma più puristica.
Una terza differenza, che può aver contribuito a velare la varietà linguistica dell’Italoromanzo, è che proprio i dialetti più vitali (o meno moribondi) sono quelli veneti al nord e siciliani al sud, cioè quelli che presentano in forma meno accentuata i tratti specifici rispettivamente del Settentrione e del Mezzogiorno.
Un’ultima differenza, ma non certo secondaria nella percezione della maggior o minor unitarietà, è che la Francia del Sud ha visto per secoli un proprio volgare lettarario e di comunicazione scritta senz’altro autonomo rispetto a quello che sarebbe divenuto la lingua nazionale, mentre in Italia le tendenze alla convergenze nella lingua scritta si sono manifestate molto presto, prevenendo la formazione di lingue di cultura alternative al toscano.