Ho guardato la seconda puntata del Mercante in Fiera con Pino Insegno, terza stagione su RAI 2, dopo diciassette anni di assenza. A me da piccolo piaceva molto questo show, mi avevano anche regalato la versione da tavolo e, con alcune carte comperate più avanti, ho portato avanti la tradizione in famiglia nelle festività.
La sinistra contesta questo show e i suoi bassi ascolti, dicendo che dimostrerebbe qualcosa sulle lottizzazioni e sulla cultura di destra e simili, ma a mio parere dovrebbero apprezzare questa edizione. Banalmente, perché è la versione pauperistica della versione di Mediaset, ormai quasi maggiorenne.
Cominciamo dallo studio: se quello del 2006 era ispirato ad una fiera, con tappeti, ricchezza, dobloni e simili, questo ricorda più quello di ZeroVero, quiz che apprezzo sì per la semplicità, ma perché è una cosa di parole, in uno show del genere, l’opulenza è opportuna.
Seconda cosa, i tempi: la versione originale 50 minuti, questa 35 minuti, e si nota nel ritmo del gioco: eliminazione del primo quasi subito con la gatta nera, cinque minuti dopo (massimo) eliminato il secondo e si va alla finale. Per la suspense, pace amen… Ah, ovviamente, meno tempo vuol dire meno carte.
Comunque il punto clou è quello della piramide, ovviamente, se la versione originale arrivava a 200’000€ di premio, qui ci si ferma a 30’000€, se nella seconda edizione i dieci premi erano tutti in denaro, qui sono solo tre.
Sembra, in sostanza, un’edizione economica e ridotta all’osso, con un ritmo che non stupisce e con un orario molto particolare: se avesse sostituito Reazione a Catena magari avrebbe ereditato almeno una parte dei suoi spettatori, così invece una persona magari ha già visto uno show a premi e si guarda il TG o un altro programma.
Ma, appunto, essendo pauperistica, perché non dovrebbe piacere a una sinistra pauperista?