L’istituto tecnico come scuola identitaria della Lombardia

di | 7 Febbraio 2022

Secondo qualcuno è esagerato definire, come faccio io, l’istituto tecnico come un elemento identitario della Lombardia e, più in generale, del Nord.

Tuttavia, vorrei proporvi un paragone:

Il somaro lombardo lavora portando avanti il Paese, mentre il Sud vive di gloria e, a detta della vulgata comune, è lui che rende possibile il progresso. Così come il somaro tecnico lavora portando avanti il Paese, mentre il liceo vive di gloria e, a detta della vulgata comune, è lui che rende possibile il progresso.

Quando si menzionano dati a favore della Lombardia e del Nord bisogna farlo con rispetto particolare e riverenza verso il Sud, sempre ricordando che se c’è qualcosa che non va è colpa nostra, mentre qualsiasi dato citato da associazioni più o meno losche che si definiscono meridionaliste viene rilanciato subito dai media nazionali, con annesse bacchettate di qualche professore di filosofia di noti atenei del Sud che spiega l’egoismo della secessione dei ricchi. Ciò non è dissimile dal fatto che nel citare i dati a favore dell’istruzione tecnica si deve avere sempre una particolare riverenza verso il ruolo secondario dei tecnici, mentre quando l’associazione nazionale del liceo classico dice che senza il classico il paese va a ramengo e che bisogna obbligare tutti gli studenti talentuosi a frequentarlo, subito sulle prime pagine, con annessa bacchettata di prof di filosofia di un qualche ateneo del centro che ripercorre tutta la storia del movimento anti classico da Ichino e “il liceo più fascista” a Boldrin, con annesse considerazioni sul fatto che l’Italia è la Grande Patria di Roma e non può rinunciare al predominio sulla cultura classica ecc.

Ogni giorno si sentono attacchi al Nord, ingiurie al Nord, paragoni tra Nord e Germania nazista o Sudafrica dell’Apartheid e non c’è problema, se il somaro del Nord dice “beh” rischia querele e gogna mediatica, così come ogni giorno si sentono ingiurie e attacchi all’istituto tecnico, filosofi che propongono di tornare al sistema in cui solo dal classico si può andare a studiare in qualsiasi università, vietando al contempo ai diplomati professionali di frequentare l’università in toto, ma se la tecnica dice “beh” si becca la paternale sulla necessità di cultura umanistica e della sua superiorità.

Il Nord ha oggi un modello, imperfetto, che però funziona. I “modelli per il Sud”, che non funzionano da… 150 anni, vivono invece tutti su assunti improbabili come il vivere di turismo o di arte. Così come gli istituti tecnici già oggi fan lavorare la gente, mentre i modelli che fan lavorare i liceali si basano tutti su ipotetiche rivoluzioni del mondo del lavoro che faranno capire al capitale l’importanza degli umanisti. Nel mentre, può pagare pantalone con un comodo posto da statale.

Ah, vero, il Nord sta rallentando: grazie al cazzo, ha Roma attaccata ai coglioni come un gatto incazzato. Un po’ come l’istituto tecnico che, invece di essere valorizzato, viene usato come asilo infantile per tutti i disperati mentali a cui Roma ha promesso di diventare grandi filosofi studiando nei licei, non han combinato un cazzo e ora debbono essere integrati a forza dando loro lavoro negli istituti tecnici.

Il ruolo elitario del liceo, d’altronde, si basa sulle stesse radici gentiliane, fasciste e romantiche che pensano che l’Italia sia bellissima da Nord a Sud e che se il Sud è indietro è perché il Nord è egoista, un po’ come chi sceglie il tecnico pur essendo dotato sta togliendo una mente all’élite nazionale del futuro, preferendo fare il lazzarone e studiando poco, il tutto giocando sul PC, invece di sudare sui libri per imparare Platone e il latino così da poter guidare la nazione nel futuro.

Mi spiace dirlo, ma una rivoluzione nordista non potrà che essere anche una rivoluzione tecnicista: “dai nostri politecnici”, per dirla come il buon Filippo: e per almeno una legislatura il governo dovrà essere composto quasi solo da diplomati tecnici e professionali e laureati STEM, lasciando agli umanisti ruoli come ministri della cultura o dei rapporti col parlamento.

Bisogna favorire ad ogni costo il riequilibrio della situazione, specie al Sud, dove l’adesione al liceo è bulgara – spesso nella speranza di un posto statale o in base a pregiudizi sul liceo come unica vera scuola – e il miglior modo per farlo è, purtroppo, marcando il territorio con un governo tecnico, e non nel senso Monti, nel senso periti.

E questa fu, in un certo senso, una rivoluzione che la Lega, quando era ancora un partito serio, provò a fare: la partitocrazia dell’epoca diceva di rappresentare le persone comuni, ma mandava quasi sempre chi in parlamento? Non l’operaio, ma il diplomato al classico in camicia, e quando non era così, era solitamente perché l’eletto aveva fatto la resistenza.

La Lega, invece, aveva tecnici su tecnici: Bossi, Pagliarini, Comino, e vari diplomati liceali, come Calderoli e Castelli, hanno ottenuto poi lauree di tipo STEM. Che poi, d’altronde, nella lotta alla partitocrazia una cosa del genere è ovvia: che senso ha che solo una sparuta minoranza, figlia di ricchi, che frequenta una data scuola che essenzialmente si può fare solo se sai di poter fare cinque anni all’università mantenuto da papà, possa andare in politica? È letteralmente la definizione di casta.

Ora le cose a livello sociale sono un po’ cambiate e chiunque può fare il classico, così come molte famiglie ricche mandano i figli al tecnico, ma resta la necessità di affermare l’importanza delle scuole tecniche, e del loro ambiente d’origine, il Nord, anche a livello politico.

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