Questo post è un insieme di messaggi che ho scritto in un gruppo, in una discussione su studi superiori e universitari, riadattati e resi in versione blog
Con una punta di sarcasmo, verrebbe da dire che la presenza di laureati umanistici nelle dirigenze aziendali è una delle ragioni per cui le aziende italiane non son competitive 😝
Scherzi a parte, all’estero so che hanno lauree umanistiche molto interessanti e orientate all’azienda e all’imprenditorialità (cose tipo “filosofia ed economia”, “gestione d’impresa e filosofia” o “filosofia e analisi dei dati”), in Italia purtroppo sappiamo fin troppo bene come certe facoltà di lettere e simili siano quasi dei centri di formazione per il socialismo (o, per gli eventi recenti, delle ambasciate russe) e per ogni laureato buono ce ne son 9 che “lo stato deve aiutarci”/”assumerci”/”il socialismo è bellissimo” e simili, così come le lauree umanistiche con visione estesa all’economia o alle digital humanities son decisamente una rarità, rispetto al resto del mondo occidentale.
Per di più, un corso di studi deve anche essere valutato sui risultati generali, e se non metto in dubbio che qualche pezzo grosso sia laureato in filosofia o in storia, di media le lauree umanistiche pagano meno e danno meno lavoro (per quanto i tassi di disoccupazione siano intorno al 10%, nulla di eccessivamente drammatico), lo ammettono gli stessi siti che trattano l’argomento. Spesso, il datore di lavoro è lo Stato, tramite l’istruzione o altre forme di assunzione pubblica.
Ma non penso che sia tanto un problema con quelle discipline, quanto con lo statalismo: in Italia si va ancora dietro a Gentile e l’idea di mischiare certe discipline con la scienza viene vista come una compromissione, non come un’opportunità. Se ci fosse più mercato avremmo lauree simili a quelle del resto d’Europa, capaci quindi di servire al meglio il mondo del lavoro. Ci sono varie buone analisi sulla differenza d’approccio tra la filosofia nel mondo anglosassone e quello italiano che sono proprio collegate a quanto espresso.
In ogni caso, se parliamo di scuole superiori, mi sembra evidente che serva un approccio differente tra scuole liceali, che servono quasi esclusivamente a continuare gli studi, e scuole tecniche e professionali che permettono, in varie capacità, l’accesso diretto al mondo del lavoro.
Imho, è stupido andare davanti ad un liceo a fare assunzioni, visto che la buona maggioranza dei maturandi vorrà continuare gli studi e comunque non ha specifiche competenze lavorative, mentre è uno spreco farlo per le scuole tecniche e professionali, visto che dovrebbero essere ben più integrate nel mondo del lavoro di quanto lo sono oggi, ossia con una misera alternanza o come si chiama oggi.
Tra l’altro, è bene aggiungere una cosa sul tema Gentile: nel liceo moderno pre riforma c’era la materia di diritto, economia e filosofia, che non è stata mantenuta nel suo liceo scientifico, sostituita da filosofia e basta.
Oggi, tale materia, è molto spesso vista come storia bis, con un approfondimento sui pensatori. Però, di logica, ho visto davvero poco: mi è capitato di parlare più volte con studenti del liceo che mi spiegavano cosa studiavano e spesso mi hanno citato la storia del paradosso di Achille e della tartaruga. Nessuno di loro mi ha mai spiegato come mai il paradosso fosse tale, avevano imparato solo il paradosso, quasi a memoria.
Questa è una delle ragioni per cui non la ritengo una materia di importanza generale, ma non voglio nemmeno fare l'”aboliamo il liceo classico” della situazione che ne chiede la rimozione per tutti: se uno sceglie un liceo e inizia a lamentarsi di filosofia, magari anche di latino o del livello di approfondimento della letteratura, forse ha sbagliato lui scuola e non è la scuola ad avere un programma sbagliato.
Però, ho avuto una prof di italiano e storia che era laureata in filosofia e aveva una grandissima capacità di integrare le due materie, non sembravano quasi due cose separate, e la cosa mi ha davvero aiutato. Per di più, metteva anche degli elementi di filosofia quando utile: avevamo fatto alcune brevi lezioni sul pensiero di Parini, Beccaria, Dante e Machiavelli, giusto per dire i primi che mi vengono in mente.
Quindi, a mio parere:
- I programmi delle materie umanistiche andrebbero resi più integrati: negli istituti tecnici non serve filosofia, ma se si inseriscono una decina di analisi sul pensiero storicamente rilevante, in continuità con storia e italiano, è tutto di guadagnato
- In un sistema di mercato un laureato in filosofia sarebbe ben desiderato dalle scuole, visto che può insegnare bene storia e italiano e, ove presente, ovviamente filosofia
- Le università potrebbero reagire proponendo lauree come quelle che ho citato nel messaggio precedente, aprendo all’insegnamento di altre materie come diritto ed economia o scienze (in concezione generale), in un modo che può essere benefico per gli alunni
In estrema sintesi, lo stato italiano e l’ideologia di Gentile sono i peggiori nemici sia dei laureati di filosofia, sia di chi deve studiarla, visto che:
- La mettono solo in ottica storica (visto che nella loro visione lo studio umanistico serviva a legittimare la nazione e l’ideologia del momento)
- Con il modello attuale si laureano tanto persone, con una laurea poco specialistica, e quindi ogni tanto lo stato deve provvedere con qualche concorso, dando la fama di “gente che ogni tanto dev’essere salvata dal governo come una municipalizzata qualsiasi”, che nel mercato non esisterebbe o, quantomeno, sarebbe ridotta nettamente
- L’idea crociana per cui è peccato mischiare scienza e umanistica impedisce l’evoluzione degli studi filosofici in modo che siano più utili per il mondo del lavoro, cosa che viene poi portata avanti – più o meno consapevolmente – dalle maggioranze politiche delle facoltà che ad una proposta del genere reagirebbero dandomi del “neoliberale che vuole asservire il pensiero che crea l’Uomo agli sporchi interessi del capitale”