Il saggio del giorno l’ho scritto come commento su “LA LINGUA BATTE” ed è relativo alla grafia lombarda e al lessico su Wikipedia. O meglio, sarebbe dovuto essere un commento ma mi son lasciato prendere la mano, dunque ho preferito salvarlo anche qui con qualche lieve modifica per leggibilità e offrirvelo. La base è che ho scritto un contenuto sulla capacità dei dialetti di esprimere concetti “elevati” con uno screenshot di una voce in lombardo scritta in Scriver Lombard e un utente si è chiesto se fosse opportuno usare questa grafia “inventata” invece di quella storica del Porta e del Cherubini, oltre alla commistione lessicale.
Scriver Lombard
Per quanto riguarda l’ortografia ho scelto un articolo a caso curiosando nelle categorie, ma per caso ne è venuto fuori uno nell’ortografia Scriver Lombard che è ispirata al modello volgare, quello che Salvi chiamava “antico lombardo”, autori come Bonvesin de la Riva o Belcalzer, insomma, i grandi del medioevo lombardo.
Si tratta di un’ortografia molto ben pensata e progettata, non è un lavoro dilettantistico, ed è ben adatta ad alcuni bisogni del sistema lombardo (ad esempio da noi “e” e “a” sono spesso allofoni, penso a [neger] e [negar], ma usando un’ortografia legata all’italiano – come la classica milanese – si deve cambiare anche la g: negher e negar.
Tuttavia, ha due punti problematici:
Il primo, fatto notare da Athos Birra nella sua tesi sull’uso online del dialetto ticinese (e dei dialetti lombardi in particolare) è che si tratta di un’ortografia molto specialistica, tanto da dire, nel rapporto tra grafie e comunicazione mediata dai computer:
in questo contesto, SL si colloca in una posizione sui generis, dal momento che ogni grafo che lo compone è facilmente digitabile con una tastiera italiana, ma il sistema su cui si basa è molto più complesso delle sue controparti. SL risulta difficilmente intuitivo senza un consistente investimento di tempo nel suo apprendimento […] risulta poco plausibile prevedere una diffusione di SL al di fuori di una nicchia di fautori a causa della ricchezza e complessità delle regole
Il secondo, che è forse il vero “ventre molle” è l’uso del plurale sigmatico, nonostante esso nel lombardo di oggi non esiste: è opinione ad esempio del Pellegrini che un tempo fosse tratto comune cisalpino, ma “un tempo” vuol dire che già nelle testimonianze scritte che abbiamo non c’era. In SL gli esiti classici del plurale lombardo “-t” -> -t/-cc vengono resi come -s (el gat -> i gats), nonostante tale esito non esista nella Lombardofonia.
Si tratta certamente di una grafia che funzionerebbe bene se il lombardo godesse di tutto il supporto istituzionale del mondo, stile Paese Basco o Catalogna, ma in un contesto di non riconoscimento, o anche di riconoscimento come quello riservato a sardo o friulano, il rischio che venga visto come un qualcosa di incomprensibile o estraneo alla tradizione c’è ed è elevato. Ricordo distintamente un commento ad un contenuto in SL relativo alla morte del lombardo con scritto “se lo scrivete così, è già morto” o giù di lì…
Milanese classica
Ho scritto per anni con l’ortografia del Porta, il problema è che – ahinoi (sulla storia della grafia lombarda si potrebbe scrivere un trattato [e quasi l’ho fatto, NdS]) – vi è stata una “de-standardizzazione” del sistema lombardo. Fossimo nel 1840 più o meno tutti scriverebbero seguendo un modello classico: tutta la Lombardia occidentale (e ci conto anche Ticino e Novara, parlando di lingua) stava più o meno dietro a Milano, con qualche adattamento, mentre Brescia e Bergamo avevano proprie ortografie classiche comunque molto simili: per me milanese leggere le poesie di Pietro Ruggeri da Stabello in grafia originale è francamente più semplice che leggere quelle in romanesco della stessa epoca: non dubito che con una ventina d’anni di contatti tra autori si sarebbe arrivati ad una forma condivisa.
Dico in grafia originale perché Antonio Tiraboschi, autore anche di un ottimo dizionario bergamasco, ha trascritto poco dopo la morte tutte le sue poesie in un’ortografia fonetica e oggi i bergamaschi le ricordano così, tanti nemmeno sanno che dalla nascita del bergamasco a metà 1800 c’era tale modello classico. La stessa cosa, magari senza la damnatio memoriae della grafia precedente è avvenuta a Brescia, a Lodi, in Ticino, nel Piemonte lombardofono e a Pavia e col tempo il modello del Porta ha perso prestigio limitandosi solo a Milano e dintorni: è praticamente dagli anni ’80 che l’ortografia milanese è normata per Milano e da Milano. Qualche temerario la usa ancora nelle versioni “universali” anche tra Varese, Como e Lecco, ma son pochi.
Certamente nulla vieterebbe di elevare il milanese a standard, ma:
- Generalmente è pratica sconsigliata dalla pianificazione linguistica la scelta di fondare lo standard su un solo dialetto (ad esempio, vedendo un caso recente, lo standard galiziano prende da tutte le principali varietà)
- Spesso chi è appassionato di dialetti è comunque legato alla storia della propria città e vedere l’imposizione di una sola varietà può puzzare di imperialismo
A mio parere è dunque opportuno, rimanendo nel soglio ortografico classico, che è ancora vivo e generalmente conosciuto se non accettato, cercare un modello più “panlombardo”.
La grafia lombarda oggi
Attualmente uso un’ortografia chiamata NOL (Noeuva Ortografia Lombarda) che parte dal modello classico, non solo milanese, aggiungendo alcuni elementi da altre tradizioni ortografiche per ottenere una grafia comunque polinomica ma legata alla tradizione corrente. La tesi di Birra (Il dialetto ticinese nella comunicazione mediata dal computer), subito dopo aver parlato della SL, fa un’analisi della NOL che la spiega meglio di quanto possa spiegarla io.
Però, ad esempio, è più legata a quello che Sanga chiamava “lombardo comune”, ossia il centro del diasistema lombardo, mentre la SL tende a considerare molto anche i dialetti periferici, alle volte integrandoli radicalmente nella proposta ortografica (si veda la formazione dell’infinito in -ar/-er/-ir), ma altri principi sono invece comuni con la SL.
Mi è capitato di usarla anche in gruppi dialettali “semplici” e il risultato è che se magari viene identificata come una varietà “ariosa”, nessuno ha dubbi che si tratti comunque di un testo nello stesso dialetto.
Aggiungo anche che, ad oggi, piemontese e ligure hanno grafie di modello classico, adottarle ci avvicinerebbe dunque a questi idiomi che sono idiomi fratelli. Storicamente, tra l’altro, anche i dialetti piacentini e parmigiani si scrivevano con grafie di modello classico, che alla fine altro non sono che ponte tra il modello italoromanzo e galloromanzo.
Convergenza lessicale
Relativamente al lessico, trovo anche naturale e positivo che si crei un po’ di commistione tra varietà.
Naturale perché è ciò che capita anche all’italiano, quando le persone delle varie regioni parlano si scambiano modi di dire e forme locali che col tempo perdono l’impronta locale e vengono sdoganate in tutto il sistema linguistico. Alla fine è quasi un segno di vitalità.
Ma naturale anche nello specifico di lingue a rischio, dove molti parlanti hanno solo una competenza di base. In tal caso non è raro trovarsi a studiare su documenti di altre varietà e assumerne termini e forme.
Infine, lo trovo positivo, perché vuol dire che sono i parlanti a definire, in un certo senso, lo standard di domani, scegliendo quali parole diventano d’uso comune e quali invece sono più d’uso locale. In questo modo, è più probabile che lo standard (che ovviamente non sarà mai omnicomprensivo) sia più democratico e meno calato dall’alto.